Quando tutto era sprofondato, lui era stato fortunato o così almeno gli sembrava, aveva una sua barca a remi: una piccola arca di Noè ad uso personale. Così ora si muoveva pian piano verso quella che sembrava la terra. Nella foschia appariva e scompariva, lontana. Forse era solo un’illusione, un verticale muro di nuvole che sarebbe presto scomparso.
Remava piano, quand’ecco apparire un ragazzo in mezzo all’acqua. Fece una piccola virata e si avvicinò. Allungò una mano ma il ragazzo lo guardò di traverso:
“Questa è una barca a remi e tu sei solo, sono sicuro che mi chiederai di remare ed io non ne ho proprio voglia”
“Allora non vuoi salire?”
“No!”.
C’era poco da fare, inutile disperarsi, si stava anche alzando il vento. Continuò e ne trovò un altro.
“E tu vuoi salire?”.
Lo sguardo passò in rassegna la piccola barca e poi:
“No, questa è solo una vecchia barchetta, sono certo che dopo di te ne passeranno altre più belle e più comode”
“Allora ciao”.
Un gruppetto sembrava stesse facendo nuoto sincronizzato, ma da vicino vide che nelle mani alzate stringevano dei telefonini e tra loro si scambiavano sempre la stessa frase, sputacchiando ogni tanto l’acqua che gli entrava in bocca:
“Non ho campo, c’hai campo?”.
Passò loro vicino ma non lo degnarono d’uno sguardo, erano troppo impegnati.
Un altro gli chiese: “Ma tu mi garantisci che ci salveremo?”
“Non posso - rispose - la terra è ancora così lontana”
“E allora non salgo, perché faticare se poi non serve a niente?”.
Un altro gruppetto lo trovò ridicolo e si mise a sghignazzare.
“Venite con me - disse lui - anche se state in gruppo presto comincerete lo stesso ad andare a fondo”.
La risposta di quello che sembrava il capo fu: “Benissimo, useremo il primo che annega come galleggiante e così ci salveremo. Anzi - disse girandosi e passando in rassegna gli altri - chi è il più grasso?”.
E così via: chi aspettava la mamma; chi diceva “Quando si deve morire si deve morire e - anzi - per me e pure troppo tardi”; chi non si fidava: “Chissà che cosa vuoi in cambio”; chi galleggiava sicuro di se: “Ce la faccio da solo!”.
Insomma, nessuno era voluto salire. Ormai erano lontani e lui continuava a remare lentamente quando sentì una voce:
“Ehi?”.
Guardò meglio e vide le dita di due mani, confuse col colore della vernice scrostata. “Ecco perché era così pesante!” pensò e si affacciò. Aggrappato alla barca c’era un altro ragazzo che gli chiese:
“Sono lontani?”
“Chi?”
“Gli altri”
“Ah si, sono lontani”
“Posso salire allora?”
“Certamente!”
Il ragazzo salì e - da solo - prese un remo. La barca scartò per un po’ ma poi cominciò ad andare sempre meglio e i due cominciarono a parlare.
A parlare del futuro.
sabato 19 settembre 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento