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mercoledì 6 luglio 2011

Insieme non abbiamo futuro

Domenica a Fossacesia c'è stata una manifestazione contro il Parco della Costa Teatina. Sostanzialmente un fallimento. Dopo un rinvio e settimane di martellante propaganda falsa basata sulla paura: per otto comuni c'erano 50 trattori (compresi vongolari e cacciatori) e meno di 200 persone sotto il palco di cui molti cacciatori e meno della metà che applaudiva.

Sul palco il sindaco di Rocca San Giovanni che vuole eliminare le aree protette dal suo comune, il sindaco e l'assessore al turismo di San Vito che tra pochi giorni cercheranno di spiegare come un resort all-inclusive da 1000 posti letto sia la scelta giusta per i sanvitesi e il sindaco di Villalfonsina amico personale del coordinatore al Parco (che però non vuole il Parco) e che ha nell'ufficio tecnico del suo comune il vicesindaco di San Vito.

Poco da raccontare se non fosse stato per il cartello che apriva la sfilata dei trattori.


Insieme non abbiamo futuro

Quel ragazzo portava al collo una frase che contraddiceva non solo secoli di cultura ma anche migliaia di anni di evoluzione: da quando l'uomo si è reso conto che il gruppo aveva più possibilità del singolo.

E perché - oggi - un cartello del genere? Perché credere così facilmente a delle bugie per rinchiudersi in piccoli gruppi diffidenti gli uni degli altri? Perché certe idee si sono fatte strada così facilmente?

La spiegazione mi ha colto di sorpresa, perché è la stessa di cui tanto ho letto e parlato e - nonostante questo - non l'ho saputa riconoscere subito.

In un periodo in cui tutte le grandi idee, le speranze, il futuro stesso hanno perso di credibilità, la paura di un nemico fantasma è tutto quel che è rimasto ai politici per conservare il potere. I politici che non sanno reagire alle sfide globali si mantengono in sella alimentando paure, sviando le paure delle persone dai problemi che non sanno affrontare verso altre costruite a tavolino e più "gestibili".

E così c'è la paura per lo straniero, per l'immigrato, per il mussulmano, per il meridionale, per il povero, per i comunisti, per i NO-TAV, per il vicino di casa. Dopo questo martellamento le teste sono cambiate e la diffidenza è il primo sentimento. Si ha paura di tutti, a priori.

Anche i luoghi sono cambiati: ora ci sono recinti, muri, sbarramenti, cancellate, telecamere, barriere ovunque. I luoghi di aggregazione che ancora sopravvivono sono deserti. Unici punti affollati sono i centri commerciali dove i consumatori coatti si aggirano in massa ma da soli.

E quindi non sembra neppure un caso che l'alternativa al parco sia rappresentata dal Resort di San Vito: un simbolo di questa nuova architettura dell'esclusione; in cui i turisti - se mai ve ne saranno - resteranno dentro, al sicuro nei loro agi, in uno spazio senza una reale collocazione geografica, e a chi sta fuori non resterà che contemplare - da quello che era un belvedere - lo spettacolo della ricchezza, soffrendo per la dolorosa esclusione da quel mondo.

Ecco quel che è accaduto: anche il no al Parco è un frutto della paura dell'altro; una paura che esclude il confronto, l'azione, i cambiamenti. E' bastato poco a chi aveva interesse a convincere, per farlo; è ormai un riflesso condizionato: la ragione non può nulla quando quel che ti dicono va in risonanza con le altre paure indotte di questa società allo stadio terminale.

Se quindi il Parco vuol dire anche solidarietà, confronto, collaborazione, unione, speranza, questo è per me è un motivo più che sufficiente per cercare di renderlo reale.

lunedì 10 gennaio 2011

Marchionne come Eichmann

Oggi marchionne ha detto:
"Se il risultato del referendum sull'accordo di Mirafiori sarà sotto il 51% ritorneremo a festeggiare a Detroit".
In questa "festa" che altri comunque faranno, con o senza di noi, c'è tutta la globalizzazione: il semplice fatto che il benessere di pochi non possa che essere sostenuto dalla miseria di tanti altri.

Abbiamo comprato automobili fatte in Turchia, in Polonia o in Sudamerica senza preoccuparci di nulla perchè noi eravamo sotto la coperta.

Ora - di colpo - la coperta si sta restringendo e ne stiamo scivolando fuori. E ci accorgiamo con terrore che nulla è certo, che tutto può cambiare e che tutto accade indipendentemente da noi: che la vita degli operai Fiat e delle loro famiglie sono decise altrove, che altri - lontanissimi - delegano il loro burocrate a fare il lavoro sporco.

E pensando a marchionne, pronto a festeggiare, mi viene in mente Eichmann. L'esecutore della soluzione finale svolgeva il proprio lavoro con lo stesso zelo. Entrambi burocrati per i quali la moralità consiste solo nella corretta esecuzione dei compiti assegnati.

Marchionne come Eichmann, i sindacalisti come i kapò: le ennesime reincarnazioni dell'assoluta banalità del male.

Tutti intenti al loro "lavoro" e nessuno che si domandi: ma che cosa stiamo facendo? Quale è il senso, cosa giustifica tutto questo?


Per approfondire: Zygmunt Bauman: "Paura liquida" e "Modernità e olocausto" e Hannah Arendt "Banalità del male"