mercoledì 19 agosto 2009

Il dialetto e la superiorità delle scimmie

Dialetto: questa parola appare spesso nelle cronache politiche di questi giorni. Tutti ne parlano ma nessuno si chiede (come al solito): di cosa stiamo parlando? A cosa ci riferiamo con questa parola?

Il vocabolario ci dice che si tratta di un "sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in un ambito socialmente e culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante".

Ebbene, non ci vuole molto a capire che quel che continuiamo a chiamare "dialetto" non corrisponde quasi mai alla sua definizione: perchè manca il "sistema linguistico". Sono solo eco lontane delle lingue originarie. Sono solo ricordi di antichi suoni, emessi senza più melodia. Quella melodia che a volte riappare dal passato nelle parole di qualche vecchio e che il tempo sta inesorabilmente cancellando, strappando via le nostre radici tra l'indifferenza generale.

Oggi col termine "dialetto" s'intende solo una squallida sottolingua usata da chi non conosce o ha dimenticato l'italiano, sparita la cultura (sia del vero dialetto che della lingua italiana) sono rimasti analfabetismo e ignoranza.

Ma oggi l'ignoranza è un bene primario che va protetto e coltivato, va anzi trasformata in un segno di distinzione e di superiorità. Ecco quindi il messaggio che in questi giorni rieccheggia dai telegiornali - tanto assurdo quanto elementare ed accattivante - e che dice: "Noi parliamo così e tra noi ci intendiamo, siamo quindi superiori agli altri che non ci capiscono o che non capiamo".

Solo un attimo per osservare che questo "ragionamento" è perfetto anche per un branco di scimmie, e quindi concludere citando Pasolini sullo stesso argomento:
"Lungo il marciapiede destro, in cui la luce livida del crepuscolo o della notte, si fa tenebra, viene ancora parlato - da chi sappia parlare - il dialetto.
Ma è anch'esso un dialetto grigio e puramente informativo, rimodellato sulla lingua. È poco più che pronuncia. Esso ha perduto ogni espressività, e sono cadute dai suoi rami stecchiti, come foglie secche, le parole del gergo. Se uno degli antichi fratelli - quelli vissuti lì fino a pochi anni prima, e di cui questi hanno rubato il posto - potesse, per un capriccio della storia, riapparire lì in mezzo, e parlare in un suo linguaggio, potrebbe essere capito solo con l'aiuto di un vocabolario corredato da un glossarietto specialistico sul gergo. Ma la maggior parte di coloro che stanno su questo marciapiede tenebroso, non sanno più nemmeno parlare, sic et simpliciter. Mugolano, si danno spintoni, articolano qualche suono gutturale: se devono esprimere meraviglia, lanciano un urlo esageratamente forte, e esibizionisticamente abile (nell'imitare una pecora, una gallina, un cane); se devono esprimere allegria, alzano stridenti e offensive sghignazzate che finiscono in un grugnito o in un rantolo da epilettici, che non fa pena ma orrore."

(Pier Paolo Pasolini - Petrolio - appunto 72f - 1972)

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