giovedì 24 giugno 2010

L'Aquila - Italia: le stesse macerie


Qualche giorno fa sono stato all'Aquila e ho visto quel poco che ti permettono di vedere.

Sulla strada appaiono dapprima ruderi puntellati, il ristorante dove avevo mangiato - crollato -, casette di legno qua e la e poi le CASE. Tanti parallelepipedi vicini - indubbiamente brutti - in un contesto che non è certo quello da baita alpina trasmesso dalle inquadrature televisive. Ma la cosa peggiore è che - pur avendo le stesse dimensioni sono diversi per colore e finiture. Una riproposizione in grande della cementificazione selvaggia che tutto distrugge in una cacofonia urbanistica di colori e forme, specchio della nostra società polverizzata.

Entrando in città i crolli, le transenne, i mucchi di macerie, i ponteggi e le protezioni aumentano.
Gli alti palazzi moderni sono tutti chiusi, in un bozzolo di tubi metallici: mi immagino il terrore di chi ci abitava mentre quei giganti gli si torcevano sopra la testa.

Avvicinandosi al centro le pareti lesionate sono ovunque, le case sono tutte chiuse.

Ma il colpo al cuore si ha entrando nel corso, l'unica via della città libera.

Sembra di visitare i fori romani. Grandi pietre sono appoggiate a terra, tutto appare colpito a morte.
Nulla ha ripreso a vivere e tutto è fermo all'attimo del terremoto. Pizzerie, negozi, case, uffici, banche.
Puntelli, cinghie, travi, sbarre metalliche recintano e sorreggono tutto: ogni apertura, colonna, spigolo, balcone; dai vetri impolverati si vedono i ponteggi anche internamente. Tutti nuovi, l'ottone degli snodi sui tubi innocenti ancora dorato, le travi chiare appena piallate.
Ma dietro le quinte di questi palazzi non c'è nulla. Dai vicoli laterali, bloccati dalle transenne, si intravedono calcinacci, crolli e macerie su cui sono nate le erbacce. Si immagina solo distruzione.

Le grandi colonne con le pietre scomposte fanno ancora pensare al terrore di quegli attimi all'energia che si è scaricata su quelle pietre e su quelle persone. Un cinema diroccato fa pensare a cosa sarebbe potuto succedere se la scossa - tanto attesa dai ricostruttori - avesse anticipato o posticipato di poche ore. Trecento o tremila morti: poca differenza per gli speculatori dell'emergenza.

Le persone camminano per il corso in silenzio, nessuno - nemmeno io - alza la voce: come in un cimitero. Rispetto per il sangue, le lacrime e anche per le pietre che testimoniano una storia di secoli.
La Banca d'Italia sembra essere l'unico edificio restaurato; nell'androne di un altro palazzo c'è un Bancomat apparentemente funzionante.

Due tende in piazza sono l'unico punto di aggregazione rimasto agli aquilani.

Polizia in equipaggiamento antisommossa, militari annoiati ai check point, mezzi dei vigili del fuoco che sembrano girare in tondo. Ti aspetti un esercito di formichine con l'elmetto giallo a ricostruire e invece non c'è nulla, tutte le vie laterali sono chiuse, nessun movimento; tutto fermo - morto.

E su tutto l'odore di polvere che ti entra nei polmoni.

Guardi i palazzi puntellati e pensi alle CASE: parli con le persone che sembrano sempre sul punto di piangere e pensi alle cerimonie televisive.

La sensazione è dolorosa, capisci come la distruzione del nostro paese in questa città sia diventata una distruzione fisica: che ha colpito la vita delle persone, il tessuto sociale e la storia di una città, sostituiti da CASE dormitori e da ponteggi, da spot pubblicitari, parole vuote, promesse non mantenute e esercitazioni per il controllo delle popolazioni.

Dopo giorni il dolore non si placa, anche se me l'aspettavo non ero preparato - non credo lo si possa essere.

Non so se l'Aquila risorgerà dalle sue macerie - ma penso che potrà farlo solo quando l'Italia intera si renderà conto di essere nella stessa condizione - distrutta, derubata e derisa - e proverà la stessa rabbia che provo io.

2 commenti:

Tom P. ha detto...

Ritrovare le sensazioni della passeggiata nel centro di L'Aquila in queste tue parole è un modo per ricordare, ma soprattuto per capire meglio. In effetti quel camminare nel silenzio era simile a quello di una visita al cimitero e faceva sembrare quasi normale l'assenza di operai e muratori in una normale giornata feriale.

Qualche speranza viene a vedere che i gentili aquilani sono anche testardi. Nonostante tutto (perfino le botte) non si rassegnano a fare i guardiani del camposanto.

Tommaso

Tom P. ha detto...

Scusa l'errore, ovviamente NEL vedere (non a vedere)