martedì 8 giugno 2010

Le balle che preludono al caos


di Massimo Fini sul Fatto quotidiano del 1 giugno 2010

Nell'ultima pagina del mio libro Il denaro. Sterco del demonio, del 1998, dopo aver raccontato la trionfale cavalcata del denaro dall'epoca della sua prima apparizione (…) ai giorni nostri e della sua progressiva trasmutazione, quasi alchemica, da mero intermediario dello scambio, per evitare le triangolazioni del baratto, e misura del valore a merce vera e propria sia pur assai volatile, così concludevo: “Il giorno del Big Bang non è lontano. Il denaro, nella sua estrema essenza, è ‘futuro’, rappresentazione del futuro, scommessa sul futuro,rilancio inesausto sul futuro, simulazione del futuro a uso del presente.
Se il futuro non è eterno ma ha una sua finitudine noi, alla velocità cui stiamo andando, proprio grazie al denaro, lo stiamo vertiginosamente accorciando. Stiamo correndo a rotta di collo verso la nostra morte, come specie.
Se il futuro è infinito e illimitato lo abbiamo ipotecato fino a regioni temporali così sideralmente lontane da renderlo di fatto inesistente. L'impressione infatti è che, per quanto veloci si vada,anzi proprio in ragione di ciò, questo futuro orgiastico arretri costantemente davanti a noi. O, forse, in un moto circolare, nietzschiano, eisteiniano, proprio del denaro, ci sta arrivando alle spalle gravido dell'immenso debito di cui l'abbiamo caricato.
Se infine, come noi pensiamo, il futuro è un tempo inesistente, un parto della nostra mente,come lo è il denaro, allora abbiamo puntato la nostra esistenza su qualcosa che non c'è, sul niente, sul Nulla.
In qualunque caso questo futuro, reale o immaginario che sia, dilatato a dimensioni mostruose e oniriche dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente.
Quel giorno il denaro non ci sarà più. Perché non avremo più futuro, nemmeno da immaginare. Ce lo saremo divorato”.
È quanto sta accadendo, anche se non nei termini così radicali che io indicavo. Per un collasso definitivo ci vorrà ancora un po' di tempo. Non molto. Il prossimo colpo sarà quello del ko.
Lo ammette il ministro dell'Economia Giulio Tremonti in un'intervista (…) . Tremonti ammette cioè che (...) la crisi è stata temporaneamente tamponata immettendo nel sistema altro denaro inesistente, drogato, tossico non meno dei titoli "tossici", nella speranza che il cavallo dopato faccia ancora qualche passo in avanti. Ma la cosa non può durare ancora a lungo, perché, prima o poi, arriva il momento fatale dell'overdose mortale.
“Ma come può intervenire la politica?”chiede a questo punto l'intervistatore (…) “È già molto capire e l'impressione è che, sopra i popoli, superato lo choc iniziale, anche segmenti sempre più ampi delle classi dirigenti comincino a capire ”. Ma noi non abbiamo bisogno di classi dirigenti che capiscono le cose quando sono già avvenute, che ci dicano il risultato della partita quando è finita. Ciò che io, che non sono un economista, avevo capito o intuito nel 1998, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti aveva il dovere di capirlo almeno nel 2007 quando ci fu il tracollo dei subprime americani. Le sue prediche di oggi, elargite con gran prosopopea, sono inutili oltre che sommamente irritanti (...). E ciò vale, ovviamente, non solo per Tremonti ma per tutte le classi dirigenti occidentali, politici, economisti, imprenditori, intellettuali che o non hanno capito, e allora sono dei coglioni indegni di dirigere una Asl, o sono dei mascalzoni che hanno fatto finta di non capire e ci hanno ingannato come continuano ad ingannarci. Perché anche la distinzione fra capitalismo finanziario e capitalismo industriale (l'“economia reale”) è un inganno. Anche il capitalismo industriale si basa sulla stessa logica di quello finanziario: una inesausta scommessa su un futuro, additatoci continuamente, per tenerci al basto, come Terra Promessa, che arretra costantemente davanti ai nostri occhi con la stessa inesorabilità dell'orizzonte davanti a chi abbia la pretesa di raggiungerlo. Se mai il capitalismo finanziario, con la sua brutalità, ha il pregio di smascherare questo giochetto infame che dura da due secoli e mezzo e che deve finire.
E finirà.
In un bagno di sangue, quando, crollato questo modello di sviluppo paranoico, la gente delle città,accorgendosi che non può mangiare il cemento e bere il petrolio, si dirigerà verso le campagne dove verrà respinta a colpi di forcone da chi, avendo compreso le cose per tempo, sarà tornato, come ai vecchi tempi, all'economia di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) in cui il valore di una mucca, a differenza di quello del denaro o del petrolio, resta sempre tale, perché una mucca bruca, trasforma l'erba in latte, caga come dio comanda e concima, in un ciclo biologico perfetto, e, al limite, se ne può sempre fare bistecche.


In quanto a Tremonti e a tutti i Tremonti della Terra per loro è pronto, se saranno ancora vivi, l'albero cui saranno pregati di appendersi.

www.ilribelle.com

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