lunedì 7 settembre 2009

Chi non sa insegna

Quattro interventi sulla stupidità e su come essa ormai dilaghi tra chi governa il mondo della scuola, creando così una reazione a catena dagli effetti facilmente prevedibili. Gli ultimi tre, ma soprattutto il terzo intervento (che sottoscrivo fino all'ultima virgola) meritano veramente di essere letti nella loro versione completa:
La prevalenza del cretino
“idiota”: Membro di una grande e potente tribù che nel corso dei secoli ha sempre esercitato un dominio assoluto sulle vicende umane…

... e se stessimo diventando “semplicemente” un paese stupido, o più stupido? Se la trasformazione “berlusconiana” dell’Italia avesse sortito un risultato più profondo di quello, già grave, ascrivibile alla politica di superficie del premier forse al tramonto?
Merito, meritocrazia, motivazione
Un alunno apprenderà ed imparerà ad apprendere quando avrà passione per la conoscenza, quando saprà connettere tra di loro le informazioni, quando saprà come archiviarle e come estrarle. Per tutto questo, non c’è sistema di premi o di punizioni che tenga, non c’è incentivo che funzioni. Gli apprendimenti meccanici (ricordare una massa di nozioni) potevano andare bene, ammesso che andassero bene, quando si riteneva che il compito della scuola fosse impartire l’insegnamento costruendo dentro alla mente del discente la conoscenza, fatta di una congerie di notizie.
Oggi non si pensa più così. Le conoscenze sono diventate provvisorie ed il compito della scuola diventa non tanto aiutare a possederle (domani potranno essere superate) quanto facilitare la co-costruzione della capacità di stabilire nessi tra i dati.

Ma un sistema di premi e punizioni non incentiva che l’apprendimento meccanico; le conoscenze costruite in questo modo sono inservibili o labili.

E’ un paradosso, ma si può dire che non si guadagna nulla con la meritocrazia.

Si impara quello che si desidera imparare e si desidera imparare quello che per un individuo ha un significato; e sarà quell’individuo ad attribuire significato, non può essere che così: siamo noi a dare significato all’esistenza, non è l’esistenza che dà significato a noi.
E’ per questo che siamo noi la vera energia del nostro apprendimento; nel sistema formativo, sono gli stessi attori del processo di insegnamento/apprendimento che danno a loro stessi l’energia per costruirlo.
Un alunno potrà imparare molto bene una lezione, se allettato da un premio materiale; ma questo non lo aiuterà a costruirsi un sistema epistemico (che riguarda i presupposti teorici della conoscenza scientifica e filosofica - lorenzo). Il che sarebbe quello che la scuola deve fare.
L’alunno deve voler conoscere, deve averne voglia. La meritocrazia non gli metterà voglia della conoscenza, ma del premio. L’alunno imparerà per conseguire un vantaggio, penserà sempre nei termini “che cosa mi viene in tasca?”.

L’atteggiamento “che cosa mi viene in tasca?” dell’alunno che non impara perché non ci guadagna niente è lo stesso della ministra che pensa che quell’alunno imparerà solo se ci guadagnerà qualcosa. O che quell’insegnante farà bene il suo lavoro solo se gli verrà in tasca qualcosa. A lui, non a tutti.
Questa è la meritocrazia: il prevalere dell’interesse personale su quello del gruppo.
Dovrebbe curare la scuola, invece ne annienterà scopi e strategie.
Nel quadro della meritocrazia, il docente inseguirà l’obiettivo del miglioramento economico o del maggior potere sulle altre persone; ma l’obiettivo sarà quello, non sarà il miglioramento del sistema scuola.
E’ la mentalità del profitto, aziendalistica, che è in conflitto con la logica di un sistema formativo. Esso non può funzionare come un mercato, pensare una cosa del genere vuol dire non conoscere il significato profondo della formazione.
Come il gioco rimane tale solo se è gratuito, così il desiderio di apprendere, alla base del successo del sistema formativo, non può esser mercenario. Nessun desiderio è mercenario.
E se la scuola non parte dal desiderio, dal desiderio di imparare, di insegnare, non potrà avere successo
Chi non la conosce lasci perdere le prediche sulla scuola
Questi personaggi sono il frutto di una scuola già degradata, non hanno capito un tubo e vogliono insegnare a fare gli idraulici agli altri. O si fermano o andremo sempre peggio perché questa scuola è solo figlia loro.

I talenti ribelli e distratti che sappiamo solo punire
E dunque, se il futuro di un paese dipende dalle intelligenze che possiede, davvero l'Italia con la genericità della sua istruzione, che non sa riconoscere le intelligenze superdotate e che spesso le confonde con disturbi dell'apprendimento, può credere seriamente nell'avvenire?

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