L'Imperatore della Cina era stato così preso dal nuovo gioco degli scacchi, che fece chiamare a corte il suo inventore.
Quando gli fu davanti, in ginocchio e con gli occhi bassi come la potenza dell’Imperatore richiedeva, gli offrì in dono qualsiasi cosa avesse voluto tra quelle del regno.
La richiesta dell’inventore, fatta con un filo di voce, fu:
"Solo un chicco di riso nella prima casella, Vostra Maestà."
"Solo un chicco di riso?"
"Sì, Vostra Maestà, solo un chicco di riso nella prima casella, e due nella seconda."
"Tutto qui - uno e due chicchi di riso?"
"Beh, facciamo anche quattro chicchi sulla terza casella, e così via."
L’Imperatore, un po’ contrariato da una richiesta così umile, acconsentì.
Fu tutto tranquillo fino a ché giunsero alla prima metà della scacchiera. Dopo trentadue caselle, l'Imperatore doveva all'inventore circa quattro miliardi di chicchi di riso. Una quantità notevole, la produzione di una grande risaia, ma l'Imperatore poteva ben permettersi un regalo del genere.
Da lì in poi, però, le cose cambiarono rapidamente: la casella dopo aggiunse altre due risaie, quella dopo ancora quattro, alla fine della quinta riga il debito era salito a più di duecentocinquanta risaie. L’Imperatore cominciò allora a comprendere cosa volesse veramente dire che ad ogni nuovo passo il suo debito raddoppiava, e mancavano ancora ventiquattro caselle.
Alla fine della sesta riga le risaie erano diventate sessantacinquemila. Ogni nuova casella aggiungeva prima migliaia e poi milioni di altre risaie al patrimonio dell’inventore. Lungo la penultima riga la somma salì a oltre sedici milioni e mezzo di risaie e tutto l’Impero non sarebbe stato sufficiente a farvi fronte.
L'Imperatore guardò l'inventore che però non se ne accorse, in ginocchio, armeggiava col suo abaco intento a scrivere le cifre, le orecchie erano rosse e sudate. L'Imperatore scosse leggermente il capo.
La crescita fu ancora più vertiginosa - se possibile - sull’ultima riga, l’unico a tenere ancora il conto era l’inventore i cui occhi brillavano e il cui sguardo ora si alzava a sfidare il grande Imperatore che ora sembrava stupito. Alla fine della scacchiera, il numero di chicchi di riso corrispondeva a oltre quattro miliardi di risaie.
L’inventore fece un respiro profondo di soddisfazione e si alzo in piedi davanti all’Imperatore che con calma gli disse: “Per onorare la mia parola, non posso fare altro che cederti il mio Impero”.
L’inventore sorrideva e non riusciva a tenere fermi i piedi, quasi volesse mettersi a ballare. La testa si muoveva in un tremito di assenso.
"Portate la mia spada!" disse l’Imperatore.
Un ciambellano gliela porse. Lui estrasse dal fodero il simbolo della sua potenza, di fronte al quale si erano inchinati popoli interi e sotto il quale molti altri erano stati sottomessi.
Si pose di fronte all’inventore, alzò solennemente la spada in alto e, con un movimento dapprima lento ma poi sempre più veloce quasi come la crescita dei chicchi sulla scacchiera, gli tagliò la testa.
L’inventore non si accorse di nulla, la sua testa rotolava ma continuava ad avere il solito sorriso ebete.
L’Imperatore ripose la spada, pensò solo per un attimo a quanto si possa essere stupidi e intelligenti al tempo stesso, e tornò a giocare a scacchi.
(mia versione)
Ogni volta che penso a questa storia mi domando: "Noi che siamo così intelligenti, in quale casella della scacchiera ci troviamo? Saremo ancora in tempo a fermarci prima di perdere la testa? O è già troppo tardi?".
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2 commenti:
Non ci troviamo tutti nella stessa casella, la maggior parte dei giovani non hanno caselle; fossi al posto loro, preferirei perdere la testa per poterne staccarne alcune ad altri.
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