Spesso i miei ragazzi mi chiedono perchè io faccia il professore invece di un altro lavoro.
Dietro questa domanda si può vedere un complimento: mi ritengono capace di altro che non l'insegnamento che per loro è indubbiamente un lavoro per persone prive di qualità, oppure
un giudizio negativo: se tu fai questo lavoro tu non puoi valere molto.
Le prime volte non sapevo cosa rispondere, infatti anche io, quando lavoravo come dipendente o come libero professionista, non aspiravo certo ad un futuro nella scuola; ed è stato solo per una serie di circostanze che ora mi ritrovo qui dentro e per di più di ruolo!
Oggi però non ho più alcuna esitazione a rispondere che faccio questo lavoro perchè mi piace e mi piace anche perchè è il più difficile tra tutti quelli che ho fatto. Ed in più è un lavoro che mi fa sentire utile.
Vediamo quindi di approfondire le difficoltà del lavoro dell'insegnante.
Il lavoro dell’insegnante poggia su tre pilastri: la conoscenza della materia, la capacità di farla capire agli studenti, la capacità di «tenere la classe», cioè mantenere in aula un clima di civiltà che consenta di imparare. Questa capacità si basa a sua volta su due componenti: l’autorità e l’autorevolezza. Infine c’è l’impegno civile, cioè la voglia di fare bene il proprio lavoro coscienti che i suoi effetti influenzeranno altre persone ed in definitiva l'intera società.
Esaminiamo questi pilastri uno alla volta.
Per quanto riguarda la conoscenza della materia non ho alcuna difficoltà. Ciò che insegno è infatti una frazione estremamente limitata ed elementare di ciò che ho studiato all’università e che ho imparato sul lavoro.
Per quanto riguarda il saper insegnare, c'è voluto un pò di tempo ma ho imparato sul campo; la difficoltà, per me, non sta tanto nella preparazione delle lezioni o del materiale didattico ma nel tarare l'insegnamento sulle persone che hai davanti e chiedere loro sempre un pò di più di quello che vogliono dare.
L’autorità è invece il punto dolente. Fino a qualche decennio fa il professore aveva autorità per il solo fatto di essere dietro una cattedra, su una pedana, e di avere in mano il registro, con il quale decretava promozione, scolastica e sociale, o bocciatura. Poi c’è stato il Sessantotto, la sindacalizzazione degli alunni (e soprattutto dei genitori), una società che riconosce la sola autorità del denaro, la sempre più scarsa qualità del corpo docente (impossibile negare che a molti professori mancano oggi una o anche tutte le qualità di cui stiamo parlando). In particolare il degrado dell'insegnamento non è mai interessato veramente a nessuno (ministero, sindacati e classe docente) e non interessa neanche oggi poichè il ministro si limita a sparare nel mucchio dopo averci apertamente delegittimato e, in risposta a tutto ciò, la classe docente pare ancora una volta voler chinare la testa.
La mia vita in classe sarebbe certamente più facile ed i risultati sarebbero di gran lunga migliori se avessi autorità: se esistesse una selezione che colpisse davvero la mancanza di impegno e il non rispetto delle regole (a ben guardare prima ci vorrebbero le regole). Ma ho dovuto imparare a farne a meno.
L’unica speranza per chi sta sulla cattedra oggi è dunque l’autorevolezza. Qualcuno ce l’ha come dote naturale, io me la sto costruendo, con fatica, pazienza, disponibilità, studio, impegno. E' come camminare su un filo a sua volta collegato con dei tiranti, uno per ogni ragazzo, ed ogni tirante ha la sua regolazione che influisce sulla stabilità del filo. Non è per niente una cosa facile, ma a volte tutto si regge ed io sono contento.
Mi conforta anche sapere che ci sono moltissimi altri come me; mi rispecchio (ed imparo) nelle storie di colleghi che vengono descritte dai libri che trattano della scuola o dalle testimonianze che si trovano su internet, come quella che ha dato il via a questa riflessione e che vi invito a leggere: "Professore meridionale eroe" .
Questa riflessione infine deve molto anche a questo articolo: "Manuale semiserio per la formazione intensiva della classe docente".
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