martedì 3 febbraio 2009

Combustioni, nanopolveri e malattie

Tutte le combustioni, nessuna esclusa, generano gas e polveri che, in generale, sono tanto più fini quanto più è alta la temperatura alla quale si sono formate. A 3.000 °C la maggior parte dei materiali sublima (passa direttamente dallo stato solido a quello aeriforme) per poi ricondensare nuovamente sotto forma particolata nel giro di pochi secondi, e quelle particelle hanno una composizione che dipende dagli elementi che si sono trovati casualmente a collidere. Alcuni di quei granelli sono veri e propri composti chimici; nella grande maggioranza, invece, sono leghe introvabili in qualsiasi manuale di metallurgia proprio per la maniera tutt’altro che deliberata con cui si sono generate.
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Ma uno dei problemi più gravi, di cui solo da poco si comincia, e con circospezione, a tener conto è la formazione di quelle che si chiamano polveri secondarie. I gas di cui si è detto entrano in contatto con l’umidità atmosferica, con l’ozono, con i tanti radicali liberi sospesi in aria e, grazie alla catalisi della frazione ultravioletta della luce solare, si condensano formando, appunto, altre polveri. Queste particelle secondarie che nascono spesso ad una distanza di chilometri dall’origine possono superare in massa anche di 6-8 volte la quantità generata primariamente dalla combustione e hanno come aggravante il fatto di poter trasportare, adesi alla loro superficie, altri inquinanti come, ad esempio, le diossine, i furani, i policlorobifenili, gl’idrocarburi policiclici aromatici e quant’altro.
Tutte queste polveri, primarie e secondarie, hanno la capacità di restare sospese in atmosfera e di compiere tragitti anche relativamente lunghi, e di particolare interesse sono le particelle inorganiche in lega di cui si è fatto cenno. Stante la loro composizione, queste non sono quasi mai biodegradabili e, dunque, permangono nell’ambiente in pratica in eterno. La loro dimensione varia da qualche decina di micron giù fino alle decine di nanometri e il loro comportamento è tanto più assimilabile a quello dei gas quanto minore è la loro grandezza. Per questo, una polvere del genere nata in un determinato punto geografico può essere poi rintracciata anche a migliaia di chilometri di distanza.
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Se è vero che la Natura è una produttrice di polveri - e lo è, per esempio, attraverso i vulcani attivi, con gl’incendi boschivi, con la sabbia sollevata dal vento - è altrettanto vero che quelle polveri sono relativamente scarse e molto grossolane. Sono le polveri di origine antropica (proprie dell'attività umana), quelle generate dall’impiego di calore diventato sempre più accessibile dalla Prima Rivoluzione Industriale settecentesca, a costituire un grave pericolo per la salute. Queste sono quantitativamente soverchianti rispetto a quelle naturali non solo in massa ma anche, e in particolare, per numero, essendo quasi sempre di dimensioni di gran lunga inferiori. Inoltre, la loro composizione chimica comprende non di rado elementi dotati intrinsecamente di grande tossicità (mercurio, piombo, arsenico, cadmio, ecc.) a differenza della maggior parte delle polveri naturali costituite principalmente da silicio, magnesio, calcio e sodio.
I produttori più rilevanti di questi inquinanti antropici sono i motori a scoppio, gl’inceneritori indipendentemente dalla tecnologia impiegata), i cementifici, le fonderie e, non ultima, almeno in certe zone, i poligoni di tiro e la guerra con le

esplosioni che le azioni correlate comportano. Pur fuori di quel contesto, notevole è anche l’apporto del tabacco da fumo sulle cui foglie si posano, concentrandosi con l’essiccazione che precede il consumo, polveri in quantità rilevante.
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È un dato di fatto, però, che più la particella è piccola, maggiore è la sua capacità d’insinuarsi nell’organismo. Polveri grossolane, tra i 5 e i 10 micron di diametro, pur potendolo fare, faticheranno assai di più ad introdursi nell’albero respiratorio di quanto non facciano le polveri di calibro inferiore, e i nostri studi, corroborati da quelli ormai divenuti frequenti di altri centri di ricerca, dimostrano che particelle nanometriche sono in grado di transitare dall’alveolo polmonare al torrente circolatorio entro poche decine di secondi. Dal sangue, dove, in soggetti predisposti, le polveri innescano fenomeni ipercoagulativi, a tutti gli altri tessuti dell’organismo il passaggio è questione di decine di minuti e - ormai la nostra casistica è ricca di parecchie centinaia di esempi - è chiaro come queste particelle, nella maggior parte dei casi non biodegradabili né biocompatibili, inducano reazioni infiammatorie tipiche del corpo estraneo con tutte le conseguenze note in medicina che una forma patologica del genere, cronicizzata, è capace d’indurre.
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Il nostro laboratorio ha in diverse occasioni fotografato particelle insinuate nel nucleo di cellule senza ledere la membrana cellulare, così come ha individuato particelle di natura esogena (cioè generate esternamente) in diversi feti malformati, indizio di un passaggio del tutto possibile tra madre e feto.


Estratto da questo articolo. Altro articolo da leggere, 1° elenco di articoli, 2° elenco di articoli.

Se non bastassero le polveri si veda questo post in cui dopo un cenno alle polveri nello sperma si parla della riduzione della fertilità, degli effetti di erbicidi e degli effetti delle plastiche con cui veniamo a contatto ogni giorno.

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