Ebbene: NON è stato l'uranio impoverito ad ucciderli !
L'uranio impoverito è una scoria dei processi, sia civili che militari, in cui viene usato l'uranio. Una scoria senza valore ma che non si sa dove mettere anche per la sua radioattività residua.
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L'uranio, impoverito o no, ha due proprietà che lo rendono interessante per scopi bellici: la sua alta capacità di penetrare materiali durissimi e la sua piroforicità, cioè la sua capacità di accendersi spontaneamente per attrito, a contatto con l'aria e a temperatura ambiente se ridotto in polvere. E allora, ecco trovato un eccellente sistema per liberarsi di un po' di questo eccesso d'inutile metallo: fame delle bombe.
Bastano pochissimi chilogrammi di uranio, dunque un volume piccolo (un decimetro cubo pesa 19 Kg), in testa a un grande proiettile per aprire un buco notevole in corazze di carri armati (a volte fatte pure loro con uranio) o in edifici, e a far vaporizzare tonnellate del materiale costituente il bersaglio, stante la temperatura superiore ai 3.000 °C che l'urto induce.
Tutte queste sostanze vaporizzate vengono scagliate a grande distanza dal luogo dell'esplosione e ricondensano in tempi brevi sotto forma di polveri finissime per effetto della temperatura dell'atmosfera che è, naturalmente, molto più bassa.
Dal punto di vista della composizione chimica, le polveri che si sono formate in quel modo contengono gli elementi presenti nella bomba e nel bersaglio, con intuibile prevalenza proporzionale di ciò che costituiva il bersaglio, trattandosi di chilogrammi di materiale densissimo contro tonnellate di materiali assai meno densi.
Ma come si comportano le polveri? Più o meno alla stregua di gas, stante la loro dimensione veramente piccolissima, spesso ben sotto il millesimo di millimetro (micron) di diametro e, come i gas, si diffondono in atmosfera e sono trasportate dal vento.
Difficile dire dove finiranno. Basta pensare ai pollini, incomparabilmente più grossi di quelle polveri, eppure capaci di viaggiare per decine di migliaia di chilometri, così come le sabbie del deserto, i granelli di sabbia del Sahara per esempio, che, pur avendo un diametro decine o centinaia di volte superiore a quello delle polveri di cui parliamo, si trovano nelle piogge rosse in Europa e perfino sulle coste orientali americane dopo aver scavalcato l'Oceano Atlantico.
Comunque, una parte di quelle particelle ricade al suolo e, cadendo, interessa frutta, verdura ed erba che è cibo per gli animali. Dunque, nessuna sorpresa che quelle polveri siano inalate e mangiate, con tutte le conseguenze che abbiamo esaminato qualche pagina addietro. E nessuna sorpresa se l'uranio non s'individua nei tessuti dei soldati ma in quei tessuti si trova altro: come illustrato, pochissimi chilogrammi di quel metallo servono a far vaporizzare tonnellate di materiale di cui l'uranio rappresenta una frazione piccolissima e, per questo, è estremamente improbabile trovarlo stante la sua diluizione. Quanto alla radioattività, a maggior ragione vale lo stesso ragionamento: quantità imlevanti di uranio equivalgono a una radioattività di fatto non rilevabile.
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Qualunque chimico o fisico, vedendo le polveri della base di Eglin o quelle che troviamo noi al microscopio del nostro laboratorio, nell' ambiente e poi nei tessuti malati, e che sono a disposizione di tutti, essendone cosparsi il suolo, i vegetali e tutti gli oggetti che stanno all'aperto delle zone dove le bombe all'uranio impoverito sono state usate, si rende conto di come queste siano, salvo casi rarissimi, non degradabili dalla natura. Questo significa che, una volta che siano state prodotte e immesse nell' ambiente, si è compiuto un gesto senza ritorno e chi ha sporcato non sarà capace di pulire, perché né la natura né la tecnologia ne offrono la possibilità.
Ma queste polveri - respirabili come sono e, per forza di cose, respirate vista la loro ubiquità, e ingeribili se non altro perché cascano su frutta e verdura e, dunque, destinate a finire nell'apparato digerente - sono agenti patogeni e la medicina, anche quella di secoli fa, è perfettamente conscia del fatto che respirare polveri significa almeno rischiare una pneumocomosi.
Di che si tratta? Si tratta di una serie di malattie ben conosciute per le quali non esistono terapie efficaci, e che si caratterizzano per la comparsa di formazioni fibrotiche a livello dei polmoni. La forma specifica della malattia dipende da ciò che si è respirato: il talco dà la talcosi, la silice la silicosi, l' amianto l' asbestosi, il carbone l'antracosi e così via.
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Facendo uno più uno, il materiale particolato che si genera con l'esplosione è, in termini pratici, eterno ed è fonte di malattia. Una fonte eterna di malattia. E, continuando nel semplice ragionamento, una volta che queste polveri siano per sempre nell' ambiente, potranno provocare per sempre malattie.
Questo equivale non a combattere una guerra contro il nemico del momento, un nemico che la logica della guerra e la morale che ne consegue e cui siamo assuefatti consente di sterminare, anzi, lo pretende, ma equivale ad estenderne le conseguenze per generazioni e senza possibilità di delimitarne il territorio d'azione, cosa che è assai peggiore di una pura e semplice distruzione di massa.
In aggiunta, non sarà più solo il nemico ad essere il bersaglio, ma chiunque sia presente sul posto (o anche lontano da li, vista la mobilità delle polveri), nemico o amico allo stesso modo.
Fonte: Stefano Montanari - "Il Girone delle polveri sottili" Un libro straordinario, in grado di illuminare la fogna in cui ci fanno vivere.
A questo punto ci si deve domandare perchè, dopo aver prima negato le malattie e poi dato la colpa alle cause più varie, ora che non si può più negare l'evidenza, le malattie vengono senza alcun dubbio attribuite solo all'uranio impoverito e non alle nanopolveri che le bombe hanno creato?
Il motivo è tanto semplice quanto agghiacciante:
perchè le stesse polveri, con gli stessi effetti,
escono anche dagli inceneritori di rifiuti o dalle automobili !
escono anche dagli inceneritori di rifiuti o dalle automobili !
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